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venerdì 21 settembre 2012

La giornata internazionale della Bibliodiversità


Oggi viene celebrata nel mondo la giornata della bibliodiversità. A tal proposito riteniamo opportuno offrire qualche considerazione su un orientamento editoriale che sembra aver preso piede in in Italia negli ultimi mesi e che rischia di avere un impatto rilevante proprio sulla bibliodiversità.
Sono circa sei/otto mesi che in Italia il mondo editoriale dibatte attorno all’ultima idea del marketing librario: il libro “low cost” come risposta alla crisi economica, al calo delle vendite, ecc.
E così molte case editrici, sull’esempio di Newton Compton, hanno dato vita a iniziative la cui caratteristica basilare è il prezzo molto contenuto, sempre sotto i 10 euro, e in qualche caso molto al di sotto di questo limite.
I titoli prodotti sono essenzialmente di narrativa, e gli editori interessati a queste operazioni sono di fascie disparate: ovverossia non soltanto grandi gruppi ma anche medi e piccoli editori.
Questo tipo di operazioni denunciano, a nostro parere, una situazione di disagio e di ansia all’interno della casa editrice. Il mercato editoriale, come è noto, vive una crisi molto grave, e i numeri di questa crisi possono essere riassunti in uno solo: il fatturato ad oggi (settembre 2012) si è contratto del 25% rispetto al 2011, che già era stato disastroso rispetto al 2010. A fronte di questo crollo l’unica leva a cui si pensa è il prezzo, e ciò che poteva essere messo in vendita qualche anno fa a 14/16 euro ora viene proposto a 5,90 / 7,90 / 9,90.
Cosa pensare di azioni di questo genere?
Come già detto, se da un lato si possono inquadrare come una “risposta” alla legge Levi dell’anno scorso, legge che, malgrado i suoi limiti, cercava di ordinare la giungla degli sconti sui libri circoscrivendone l’applicabilità, dall’altro appaiono come spia indiscutibile di un malessere che sembra aver contagiato gli editori. Noi ci riconosciamo però nella dichiarazione di Gianluca Foglia, direttore editoriale di Feltrinelli, rilasciata in un’intervista ad Affaritaliani.it, che riportiamo:
Credo che stiamo correndo un rischio che sintetizzerei così: il libro non ha futuro se i lettori smetteranno di percepirlo come un oggetto di valore, ma i lettori smetteranno di percepire questo valore se noi rinunceremo a comunicarglielo. Da questo punto di vista la riduzione indiscriminata del prezzo non aiuta, anzi alimenta un’idea appunto di ‘low cost’ che alla fine rischia di mettere il libro in diretta competizione con i contenuti gratuiti della rete, ed è una corsa al ribasso che il libro non può evidentemente seguire pena la sua estinzione. […]. Oggi rischia di prevalere un discorso in cui tutti i mediatori appaiono come degli usurpatori. Ma io penso che il lavoro di molti di questi mediatori – editor, redattori, grafici – serva a creare libri fatti meglio. Perché i lettori hanno bisogno di libri ben fatti, non solo di libri che costano poco”.
Non solo. Di nostro aggiungeremmo alcune considerazioni di carattere economico e psicologico. Innanzitutto occorrerebbe tenere sempre ben presente che il confine tra il low cost e la “vendita in perdita” può essere molto facilmente superabile. Il grande editore può essere bensì in grado di assorbire perdite economiche generate in questo modo perché le ridistribuisce all’interno di una strategia editoriale-commerciale più vasta e complessa, oppure la sua forza distributiva gli garantisce una presenza e conseguentemente dei numeri di vendita che gli consentono di ridurre all’osso il prezzo di copertina. Queste prerogative però si annullano con il ridursi del “peso specifico” dell’editore, di modo che il piccolo e medio-piccolo che tentino azioni di questo genere (ad imitazione dei grandi) non potrà che leccarsi le inevitabili ferite. Sembra incredibile, ma sono moltissimi i piccoli editori che non hanno una corretta percezione delle loro peculiarità e dei loro limiti. Come dice Andrea Dominici, responsabile commerciale di Dehoniana Libri: “È fondamentale che gli strumenti (produttivi, commerciali, organizzativi) siano congruenti con l’editore, siano cioè al suo “livello”. Gli anelli della filiera e le azioni imprenditoriali devono proporzionati tra loro, pena la rottura del meccanismo, come se mettessimo un turbocompressore su un motore tranquillo di piccola cilindrata. E questo, nello specifico, vale naturalmente per le strategie low cost. Già rischiose per il grande editore, risultano pericolosissime per quello piccolo. Io faccio sempre l’esempio del maglione di cashemire: per quanto fine e di valore possa essere, se ne indosso uno di cinque misure superiori alla mia, l’effetto sarà ridicolo e brutto.”
Infine una notazione psicologica: stuzzicare il cliente con strategie al ribasso implica veicolare subliminalmente l’idea che il libro sia un prodotto:
- che vale poco,
- che debba costare poco,
- che quindi fino ad oggi il cliente sia stato ingiustamente indotto a pagare troppo
Concetti di tal fatta sono non soltanto profondamente erronei ma distruttivi della buona editoria, che già non riesce a retribuire in misura decente le figure professionali implicate nella produzione e commercializzazione del libro. Realizzare libri fatti bene costa e il lettore dovrebbe esserne consapevole. A maggior ragione se ragioniamo in termini di bibliodiversità. Se low cost è sinonimo di standardizzazione al ribasso e serializzazione, un’offerta editoriale ricca e di qualità necessita di un prezzo giusto ed economicamente capace di sostenere l’intera filiera editoriale.
Anita Molino

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